Sue Kennington, Clearing, installation view, Curva Pura, photo Giorgio Benni, courtesy Curva Pura

REVEALING DARKNESS: The Shadow of Colour in the work of Sue Kennington 
Curva Pura has opened the season, presenting Clearing, a solo show by the English artist Sue Kennington, curated by Davide Silvioli.

by MATTEO DI CINTIO

The title of Sue Kennington’s new show made me wonder what I would find in the welcoming and dynamic space of Curva Pura gallery in Rome. (on show from 5 October to 6 November 2023); the English term Clearing resonated in me, in a superficial and somewhat naive way, as a clear (precisely!), as an explicit declaration of intent, of a technical-pictorial nature, aimed at clarification, brightness, the vivid and saturated use of color.
 
Looking at the work and discussing it in a vertiginous dialogue with the artist, interlaced with life experiences, impressions, technical digressions, and literary-philosophical references, I had to let the word Clearing penetrate, to arrive at a more complex meaning, to outline the slightly doubtful aspect inherent in its semantic reference. If, in fact, it is a process of unveiling, if the act of clearing proposed by the artist is directed towards a clarification of what is essential in the pictorial work, such a process involves journeying through darkness, into that which is overshadowed, eclipsed, and separated from the light. For Kennington, moving forward in the act of painting is like walking in a forest at dusk; it is no coincidence that it is she who tells me that many of the works on display in the exhibition were created following long tenebrous walks in the woods near Siena, an area that has been home to the artist for some time.
The series of small paintings on wooden panels seem to "capture" moments of a nature that lends itself to the construction of an abstract pictorial vision, but in no way adheres to any literal representation or reality. On the contrary, in the work a reality more authentic than any verisimilitude gathers, which coincides with the quiet but penetrating tenacity of a nocturnal pathos, of a shadow that incessantly accompanies, underlines, and highlights (as in an act of clarification) the materiality of the pictorial gesture. This can be observed perfectly in the work Flammable System, where the fast and unconditional movement of  painterly gesture seems to evoke floral forms, imbued however with a restless chiaroscuro inversion. The series of paintings entitled Gamma, made with tempera on paper, suggest how the process of revealing by way of darkness, involves a vector that goes from system to chance; the artist, in fact, reveals to me that her pictorial research begins in the systematisation of a spectrum of pigments. From the ordered matrix of the chromatic spectrum, we inevitably move on to the contingency of the event, because, for Kennington, there is no artistic realization except in the fall of the color from the brush to the support, an act which explains its strength in the drive to repeat itself, always different, always necessary. Reason and impulse, as pointed out by the curator Davide Silvioli, become entangled in the artistic act, allowing the viewer to glimpse the dark consistency of things. What persists in the shadow, the shadowy, the nocturnal, perhaps allowing me to offer a bold literary connection.
In a famous essay entitled In'ei raisan (In Praise of Shadows) Jin'ichirō Tanizaki observes that in the world of oriental tradition, beauty can only be created by the appearance of shadows in the most disparate places. Beauty, writes the Japanese novelist, «is not in the thing itself, but in the chiaroscuro, and in the patterns of shadows that are created by the nuances between one object and another. Just as a phosphorescent gem radiates brightness when placed in the dark, but loses its charm when exposed to daylight, so beauty is lost without the effects of shadow." And a beauty that is enveloped in the folds of shadow is evident in the work Night Flight, where the rapid pictorial gesture lays down a layer that has the tension to elicit a transcendence, be it the call of a flight or the vision of a cross. For the London artist, transcendence becomes the unrestrained abandon to a pictorial act that is clear, even in the shadows, which does not require any direction, any pre-established condition, any armament of reason. «You just have to have faith – Sue Kennington confesses– in the color that falls». To use the words of Claudio Parmiggiani, perhaps «a faith in nothing but total»

Sue Kennington: un amplesso veloce e di dubbia certezza

by Maria Vittoria Pinotti * 3 novembre

Non esiste opera poetica, per quanto raffinata e complessa possa essere, capace di reggere il confronto con la pittura non figurativa. Poiché quest’ultima, racchiude in sé tutto il significato, sì da imporlo ancor prima che venga cercato il soggetto che non possiede affatto.
Proprio in questa mentita adesione al motivo, che risiede nella capacità di astrarre la realtà, diventano protagoniste un insieme di interrogazioni sul colore, la forma, la spontaneità del gesto e la vivezza del timbro. In sintonia con questo pensiero si colloca la mostra di Sue Kennington (Londra, 1955), intitolata Clearing, a cura di Davide Silvioli e in programmazione presso lo spazio Curva Pura di Roma fino al 6 novembre 2023. Pertanto, non v’è alcun dubbio che attorno al logismo sopra accennato ruoti la ricerca dell’artista, sempre pregna di dubbi, sì da vagare in uno stato di limpida e necessaria consapevole incertezza, di cui tuttavia ella non risulta preoccupata ma anzi, di contro, vividamente rafforzata. Cosicché la pittura che ne discende si presenta come una vitale azione basata sul metter su colori, dispiegati come trucioli dai morbidi spigoli che rendono una particolare sensazione visiva, restituendo equilibrati rapporti scaturiti dall’istinto oltre che da veloci impulsi.
Da tale condizione d’indeterminatezza, che è da intendere non come uno stato d’insicurezza, bensì come una fase indispensabile e propedeutica alla riuscita dell’opera e stimolo alla sua ricerca, l’artista è forte di un’evidenza: non potrebbe mai dipingere con la certezza di avere tutto chiaro in testa, sapendo già in anticipo cosa scaturirà dal lavoro finito. Da tali premesse la mostra Clearing genera un percorso espositivo dal ritmo alacre, che si inceppa alla prepotenza delle forme coloristiche, lasciando che le opere si svelino di per sé come degli istintivi credi in punta di colore e pennello. Infatti, l’artista elucida nebulose tonalità che si sciolgono e consolidano alternativamente, riuscendo abilmente a fissare sia l’istante immeditatamente anteriore alla dissoluzione totale sia quello appena posteriore alla creazione.
In tale rapsodica analisi, Kennington è complice sottaciuta del suo perenne stato d’indagine, giacché sotto la viva foresta di tinte che caratterizzano le opere in mostra, in verità palpita un’intensa attività di studio, volta al riuscito campionamento di una moltitudine di colori. Questo importa per notare come a vantaggio dell’artista sia fondamentale descrivere il mondo attraverso i propri occhi di sperimentatrice coloristica, per cui non osserva mai il creato in modo neutro e distanziato, bensì lo studia tanto da poterne esprimere l’energia dell’improvvisazione, e al contempo, farne volare la pesantezza e soppesare le gravità tonali. Così anche il suo amato studio nella campagna toscana è filtrato da fulgori naturali, diventando il luogo d’eccellenza in cui ogni colore si trova in una cattedrale che protegge e rigenera.
Secondo tale ottica interpretativa, la sua pittura deve essere commentata in termini di luce, sicché si rivela audacemente delicata e raffinata, capace com’è di tradurre l’armonia del canone matematico del prisma dei colori ordinari presenti nel creato. Eppure, l’artista si distacca consapevolmente da questo obbiettivo, poiché intuisce di non voler rendere tali sfumature volontariamente somiglianti a quelle che si trovano in natura, realizzando, di contro, sconosciuti e suggestivi aliti di vita in cui il tono è in grado di trasmettere subitanee vibrazioni. Ebbene tutte le opere esposte si pongono come dei finestroni zenitali che aprono una proiezione verso una mutevole geografia di balenii: un’apertura su una foresta reale, ma allo stesso tempo immaginaria, per cui il fine è sempre una ferma e accertata relazione tra forma, colore e risonanza. E sebbene il suo atteggiamento sia come quello di uno scienziato che intende illustrare verità già svelate, Kennington si comporta in maniera imprevedibile. Così il solo riguardo che conosce contro gli eccessi della ripetizione e del rigido controllo sulla tela è soltanto l’improvvisazione, affidandosi all’estro di tonalità che crede di non conoscere. Tale scelta racchiude un’azione di vitale importanza, poiché non si postula forzate scelte di natura estetica, agendo, invece, solo laddove la spinta della mano scivola impulsivamente verso inverosimili colorazioni e forme, motivo per cui quanto realizza è sempre difficile da recitare e ripetere.
Siffatta spontaneità permette all’artista di comportarsi come se dovesse eseguire una scrittura grafica con i colori della primavera e dell’autunno, in cui ogni azione pittorica è cautamente regolata da un battito di palpebra, che se assente potrebbe gettare tutti gli equilibri dell’opera in un caos disarmante. Tuttavia, chiunque di noi è libero di leggere in ciò che è esposto una moltitudine di cose brulicanti sia sopra che sotto le superfici, lasciando spazio ad avvertire il tremito taglio della pennellata come un momento di gloriosa liberazione, che disinnesca un atto in cui i colori tanto amati vengono inceneriti e poi dispersi sulle superfici pittoriche. Perciò, tra le opere in rassegna, le gouache su tavola sono quelle di maggiore interesse e rarità, convinti come serve essere, che l’atto del dipingere è successivo a quello del pensare e dell’osservare, momenti questi ultimi che donano un delineato senso alle morbide forme che si acquietano in un carattere morfogenetico.
Perciò l’artista è vigorosamente attratta sia dalla luminosità, intesa come un ampio diorama ambientale, sia dall’oscurità, di cui risente il richiamo in tutte le implicite aspettative nel sortilegio e grazia che possono donare i toni in questi frangenti temporali. Non dovremmo quindi stupirci che si trovi in mostra, a tal proposito, una tela inaspettatamente e sgargiatamene gialla, frutto di una ricerca notturna nel cui moto le pennellate larghe, suadentemente sfilacciate, accelerano vertiginosamente l’equilibrio. Eppure, anche in questo caso tutto rientra nei ranghi, sempre grazie alla capacità indomita di Kennington di essere mite e dubbiosa nella gestione delle dinamiche coloristiche. E in tale purificato gusto verso lo sfrangersi dei tratti come falci si avverano chimerici echi tra forma e sostanza, evitando così la trappola del motivo e dello stilema fisso. Tutto ciò, da ultimo, accade per tradurre in realtà il valore dell’istinto creativo, quale conoscenza di una forma associata di uno e più colori, un fantasioso divenire, in altri termini, per cui il chiarore e soprattutto l’oscurità stagna, sembrano mirabilmente mutare in intervalli scenici, che producono veloci amplessi pittorici di dubbia certezza.

UN MITE SCARMIGLIARE. A TU PER TU CON SUE KENNINGTON

di Laura Catini

LC. Nel riflesso della natura, la timidezza della forma, si dissolve in una compenetrazione che fa tendere il figurativo nella chiarezza lenticolare di un colorismo astratto. Tuttavia, la tua ricerca sgorga da una precedente astrazione, quasi geometrica, in cui confini e colori hanno una delineata ritmicità nella composizione. Appare un passaggio che, da un confine netto di un campo, ha ravvicinato lo sguardo nella direzione del caos del vento e del disgelarsi della materia.Pur essendo la luce costante guida nel mutamento della visione da una scenografia pregna di linearismo a un’apparizione, in cui l’ombra getta una confluenza tra i volumi, la continuità di un respiro sistematico - che determina la scelta del colore - si pone come nota di comunione del più vasto operato. La matrice di una metamorfosi, così spontanea e altrettanto articolata, ha comportato un nuovo modo di esaminare i fenomeni naturali nel lavoro, in undeterminato affioramento transitorio che è invalso nel tuo scorrere temporale.
SK. Lavoro con mezzi che possono sembrare antitetici; uno di questi è il colore che utilizzo in modo molto razionale, come farebbe un compositore di musica, con intervalli matematici tra i diversi colori, molto precisi per l’impiego di palette di colori che ho realizzato io stessa negli ultimi venti anni; e quindi questo elemento - che normalmente è il meno razionale (colori contro disegno) nella pittura - è in realtà il più razionale nel mio lavoro. Uso anche l’opposto della formalità del “disegno”, in quanto il segno gestuale è completamente privo del pensiero a priori e non ha logica, essendo più simile a una danza, e implicando velocità e una certa incoscienza. Ragion per cui la tua osservazione sul vento è estremamente rilevante perché bisogna entrare in quel determinato stato mentale prima che l’opera prenda vita.
LC. Ciò di cui noi prendiamo atto, come forma sensibile nel quotidiano, non corrisponde mai al suo interno, alle sue arterie e al suo nucleo. Le tue opere parlano di quell’anima, rendendola osservabile a occhio nudo. Lo schermo lineare di una televisione è contenitore di una serie di ingranaggi interni, l’equilibrio e la simmetria del design di un mobile sono copertura dell’affastellamento dei suoi ripiani, le mura di un’abitazione proteggono l’umano disordine, così come il corpo di un organismo, la fragilità e l’entropia delle sue membra.
SK. Penso che tu abbia ragione ed è molto interessante la tua riflessione sugli ingranaggi interni, la televisione come contenitore, perché la tela (supporto) in questo caso è il contenitore. Dunque, ho scelto di avvalermi di un supporto convenzionale come la tela e non di vecchi stracci, parti di albero o qualcosa del genere, come è abbastanza comune in questi tempi. Sono abbastanza soddisfatta della regolarità, della linearità di una tela o di un pezzo di carta o di un cartone. Penso molto al formato prima di iniziare a lavorare, soprattutto perché il lavoro non è di quel tipo, e ho bisogno di avere qualcosa che lo contenga, solo che lo contenga…
LC. Siamo a diretto confronto con la natura più vera del sottosuolo epiteliale delle entità naturali, del loro muoversi e agitarsi. L’istintività della Madre del tutto è suo respiro primordiale che sporge come germogliazione, nell’espressività dei toni cromatici, con carnale efficacia che, con gesto involontario e unitamente computato, morde e imprime la tela.
SK. Questo genera davvero partecipazione. Il rapporto con la natura è qualcosa di molto significativo per me. Vivo in questi luoghi selvaggi ormai da venti anni, ma vengo da Londra e, quindi, ciò rappresenta un grande contrasto per me. Questo luogo, infatti, anche se è stato molto curato e amato, per secoli, dai monaci olivetani e dai loro contadini, è stato trascurato da quando se ne sono andati circa settant’anni fa, e in tempi recenti è stato completamente abbandonato, perché per i macchinari è troppo difficile da lavorare. La foresta sta prendendo il sopravvento nel posto in cui risiedo, e non è del tutto benigna. È piuttosto buia e selvaggia ma trovo, nel tipo di caos che vi riconosco, qualcosa di vero. Ho fatto molte passeggiate notturne, durante il lockdown, e hanno sicuramente influenzato il timbro del lavoro e la qualità della luce in questi tempi difficili.
 LC. La fanciullezza di un gioco libero matura nel ritrovamento di ciò che siamo nei nuovi momenti di sciolta evasione in età adulta. Nel frangente di un riconoscimento del sé, si levano cristalline lacrime indispensabili nel deposito del nostro nuovo essere che, spesso, si oppone al primo con violenza, altre volte lo abbraccia, altre ancora lo accarezza nelle spigolature che smussano un geocentrismo razionale, in un emancipato e sorgente procedere, adulterio di una connotazione standardizzata. 
SK. La tua ultima rilevazione è davvero bellissima. Penso che ci sia molta perdita in questi lavori recenti ma anche un po’ di luce, un sentimento di energia umana, una danza, una promessa che deve essere anch’essa visibile.
LC. Mi pongo in chiusura delle nostre note dialogiche per comunicare l’incanto di una ricerca, ove la spinta gestuale aderisce, come zampillo, alla sostanza di un fluire sensoriale e antropologicamente collocato, di volta in volta, nel tempo in cui si dischiude. È tanto sbalzo ipersensibile nella rivelazione di un’impulsiva emersione immaginativa, quanto lucido risveglio coloristico disteso in un confine che argina lo specchio della natura nella sua rappresentazione dualistica di pieno e di vuoto nello spazio. L’attività volta al misurarsi con attenzione è processo spontaneo e utile per il respiro fisico e interiore. In sua mancanza non può situarsi né la vita, né la poesia nei paesaggi osservati e rievocati, né tantomeno il loro collaterale e reciproco evolversi. Le campiture di colore che si allargano in una luminescenza, indagando un’apertura linfatica nei toni foschi, sono volumi ma anche accessi. Non chiamano uno spessore imperturbabile ma la possibilità di essere attraversate, permettendo al circostante uno scambio continuativo e un generoso avvicinamento psichico. La rigorosa mappatura del colore elabora un ordine emotivo distensivo che si dipana, al di là dei supporti, per pervadere l’ambiente in cui si immettono, donando quel cadenzamento intrinseco, di cui sono cospicuamente muniti. Un vivido tesoro da custodire.
 *                                           *                                                    *

Sue Kennington

by Sue Hubbard

The sun beating down on earth and stone, bleaching the lines of washing strung out to
dry across narrow mediaeval streets, creating deep shadows on a lime-washed wall - the
intensity and clarity of Italian light is woven into our understanding of Western visual
culture. From Cimabue and Duccio to Giotto a handful of painters from Tuscany were to
change the way we understand and respond to light and colour. That Sue Kennington,
despite an MA from that most conceptual of art schools, Goldsmiths, has made a remote
part of rural Tuscany her permanent home, is evidence of how deeply rooted her art is in
this Italian sensibility. The views around Siena, near where she lives, still look much
like the rural scenes in Ambrogio Lorenzetti’s quattrocento fresco, The Allegory of Good
and Bad Government, with its soft blue and pink hues, to be found in Siena Town Hall.
Unlike the later, more naturalistic art of Florence, there’s a mystical streak to much
Sienese art. Duccio – the Sienese master - created tender, often dreamlike paintings
that explore depth, space and a sense of the divine through colour.
Sue Kennington’s work is an investigation into what light and colour can do within
contemporary painting. Although she comes from a family of painters – she is the great
niece of Eric Kennington (1888-1960), known for his portraits and First World War
pictures – she is a late-comer to the practice, having previously worked in theatre
design. There light was an essential part of her vocabulary. The move to Italy, after the
conceptual rigours of Goldsmiths, allowed her to put a distance between herself and the
hard-boiled irony that prevailed during her time as a student. Moving away from her
earlier gestural paintings that flirted with bravura, celebratory mark-making in the
vein of Bert Irving and Gillian Ayres, her surfaces have flattened and simplified to
create veils and skins of subtle fresco-like colour. Touch, geometry and self-devised
systems are combined with the random to create an essentially romantic and expressive
language. In her recent painting Rough Cut, diamond forms created from thin veils of
gold over black paint hover above a grid of soft earthy pinks and browns. There is
something of Sean Scully’s sensibility here, where the ragged edges of the rectangles
reveal the layer of under painting like a glimpse of a hidden domain. This gives a sense
of space and distance, as if a curtain is being lifted to reveal a limitless void. The
Renaissance view that a painting was a window onto the world is suggested by
implication.
This sense of something ‘beyond’ is there even more strongly in Paradiso, where two
blue arches seem to draw apart to lead through to a space in another dimension. While
not a direct reference, there is an implicit nod to Piero della Francesca’s 1445 Madonna
della Misericorda with her embracing outstretched cloak, and to the open blue dress of
his 1459 Madonna del Parto. While Kennington is not making religious paintings, as
such, this oblique reference to the blue of the Virgin suggests the struggle, within a
postmodern vocabulary, to find ways of expressing what cannot easily be expressed and
of reaching towards what is, ultimately, unreachable.
By immersing herself in the light and solitude of rural Italy, Sue Kennington has been
able to distance herself from the brittle vocabulary of Goldsmiths, whilst still having a
keen awareness of contemporary debates about the nature of painting. This has resulted
in a body of work that is entirely her own - full of a subtle insight and authenticity.